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Dalila

Alla fine di un viaggio c’è sempre un viaggio da ricominciare

Mi ricordo che al liceo la mia prof di matematica ci consigliava sempre di fare due passi indietro dalla lavagna per inquadrare la situazione del problema da svolgere.
Per raccontare questa esperienza ho dovuto fare la stessa cosa, lasciar correre un po’ di tempo per poter guardare questi 10 giorni in maniera totale.
Un pellegrinaggio esperienziale ci è stato suggerito di definirlo a coloro ai quali avremmo dovuto raccontarlo e così ve lo descrivo perché questa è l’aggettivo che più sintetizza ciò che ho vissuto. Questo viaggio è stato un’esperienza che ha coinvolto ogni parte di me, quella olfattiva, quella culinaria, quella sonora, quella tattile, quella visiva, quella relazionale, quella meditativa e quella decisamente più importante la parte del cuore. Non scorderò mai gli odori della via delle spezie di Gerusalemme come non lo farò mai del profumo santo del nardo con cui ci è stata profumata la fronte. Tra le tante cose sono anche sicura che non scorderò mai la colazione palestinese a base di zaatar e delle loro tipiche salse, che a prima mattina mi hanno messo davvero a dura prova ma che hanno dato quel pizzico di straordinarietà in più ad un’ospitalità già di per se insolita. Le colonne sonore che ci hanno accompagnato risuonano ancora nella mia testa, i silenzi delle terre aride del deserto, gli stessi silenzi che assistettero alle ultime tentazioni di Gesù, il frastuono del mercato arabo che oggi come 2000 anni fa sembra incurante dell’unicità della storia, scritta sulle pietre della Via che lo attraversa, il rumore delle onde che con una delicatezza disarmante accarezzano la spiaggia sassosa del Lago di Tiberiade, i suoni della natura che su quel monte santo sembravano ripetere il discorso delle beatitudini. La dimensione tattile è stata il must del viaggio, toccare i luoghi più importanti della nostra fede è stato come andare a riscoprire le fondazioni della Chiesa Madre. Le rocce ruvide e fredde delle grotte, le rocce sante levigate dal tocco degli infiniti pellegrini e le pietre forti testimoni di veri e propri testamenti si sono impresse sulle mie mani. Immergere mani e piedi nelle acque torbide battesimali e nel pescosissimo Lago di Tiberiade, nei ruscelli cristallini di Engaddi, “sedersi” sulle dense acque del Mar Morto è stato indispensabile per sentirsi protagonisti di quei luoghi. Saper di fissare lo sguardo su luoghi naturali preservati dal tempo e conservati pressoché immutati è stata la chiave che mi ha permesso di sentirmi parte della Sua storia, una storia quanto mai viva e potente.

A rendere il tutto ancora più meraviglioso ci sono i compagni di viaggio che solitamente il pellegrino non sceglie ma con cui è chiamato a condividere gioie, sofferenze, quotidianità, emozioni. Ho un debole per lo spirito di squadra e trovo nelle relazioni il senso ultimo della fede che mi ha conquistata. Perciò ragazzi e frati grazie per le risate, per i pranzi e le cene, per le chiacchierate, per i confronti e per l’amicizia. Ma mai dirò grazie abbastanza a chi ha fatto si che potessimo contemplare l’eucarestia sul Getsemani o scrutare le stesse acque che contemporaneamente sentivamo nominare da Pietro nella lettura del Vangelo, certe impronte lasciano segni indelebili. Ovviamente ho lasciato per ultima la parte del cuore quella che non comandiamo e che recepisce secondo un filtro chiamato coscienza. Tutti sanno che le terre che abbiamo visitato sono segnate da una profonda divisione che sparge il Male con la M maiuscola, ma forse non tutti sanno quanto Bene con la B maiuscola dilaga in quei posti, un bene tanto grande che da quello stesso male fa salire un’ondata di santità che emana una speranza micidiale. È con questa speranza che sono tornata per iniziare il nuovo viaggio nelle mia Terra Santa, perché sono profondamente convinta che “alla fine di un viaggio c’è sempre un viaggio da ricominciare”.